Consiglio regionale
del Piemonte




Relazione al Disegno di legge regionale n. 427.

Istituzione dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualita'



1. Il sistema agroalimentare italiano, e altrettanto puo' dirsi di quello piemontese, si presenta articolato e complesso ed in continua evoluzione. Le sue diverse componenti (imprese, organizzazioni, prodotti, istituzioni, ecc.) mutano nel tempo per importanza e ruolo. Esse, inoltre, sono sempre piu' strettamente collegate da una fitta rete di relazioni, che ne condizionano i risultati e che hanno per buona parte sede sul territorio. In tale contesto, la stessa comprensione dell'agricoltura e' possibile solo all'interno del processo d'integrazione dello sviluppo locale ovvero, in altri termini, l'impresa agraria merita di essere "esplorata" anche e soprattutto in base alle relazioni intessute con il retroterra sociale, ambientale e culturale. E' infatti difficile immaginare per la stragrande maggioranza delle imprese agricole italiane e piemontesi strategie di sviluppo che prescindano dal territorio in cui sono insediate ed operano: la maggior parte di esse, appaiono organizzativamente non autonome e risultano viceversa integrate (cfr. Iacoponi, 1990):
- nel sistema economico generale del territorio;
- nel sistema agroalimentare (e, piu' in generale, agroindustriale) a livello di sistema locale di imprese agricole, di mercato dei prodotti (filiera), di sistema locale di imprese e mercato dei prodotti.
Si registra, in questo senso, un evidente legame tra evoluzione delle strutture e dei redditi agricoli e diversificazione dell'ambiente economico-territoriale.
Da quanto sopra ne discende - come, per altro, messo in evidenza da numerosi documenti della CE (si pensi, per tutti, al documento della Commissione Il futuro del mondo rurale, del 1988 ed alla risoluzione di Cork sullo sviluppo rurale del 1996), da ricerche economico-territoriali, dai Programmi Leader, dai patti territoriali e dai Piani di Sviluppo Rurale, di cui alla Riforma della PAC del 1999, - una consapevole riconsiderazione delle prospettive di cambiamento delle aree rurali, meno dipendenti dai tradizionali modelli di aiuto pubblico, quanto anche da politiche di valorizzazione delle peculiarita' degli ambienti produttivi e dei soggetti insediati e che sono in grado di disporre di esperienze produttive sedimentate.
Detto in altro modo, appare evidente il riconoscimento dell'inadeguatezza, o, meglio, dell'insufficienza di una politica agraria soltanto aziendale e settoriale a beneficio di politiche d'intervento capaci di consolidare e sviluppare forme d'aggregazione flessibile a livello territoriale, basate su un approccio dal basso ed ispirate a principi propri dell'azione dei fondi strutturali (concentrazione, modulazione, cofinanziamento, addizionalita', sussidiarieta').
In tale ambito, l'unita' di indagine diventa il milieu locale, che fornisce alle imprese agricole sia alcuni input essenziali come il lavoro, l'imprenditorialita', le infrastrutture materiali ed immateriali, la cultura sociale e l'organizzazione istituzionale e sia "occasioni" consolidate di collocazione dei prodotti aziendali (materie prime semilavorati e prodotti finiti, food e non food secondo i casi). Alla tipologia endogena del modello di sviluppo consegue la differenziazione delle modalita' di intervento pubblico, che devono essere coerenti con le diverse "vocazioni" produttive di partenza, a fronte delle quali si sviluppa la caratterizzazione qualitativa e la tipicita' locale (cfr. Fanfani, 2002)

2. Piu' in dettaglio l'analisi dell'evoluzione del sistema agroalimentare italiano e piemontese mostra l'affermarsi di due modelli di sviluppo produttivo locale:
- il primo modello e' quello legato ad aree rurali a relativa bassa densita' demografica ed in parte escluse dall'influenza diretta dei centri urbani, dove si e' organizzata un'economia mista, che si caratterizza per la prevalenza dell'agricoltura e che risulta integrata (e meglio integrabile) dalla presenza di insediamenti artigianali, commerciali e piccolo-industriali sparsi sul territorio, che tendono a mantenersi in un equilibrio accettabile con l'ambiente. La prospettiva, a fini di politica economica e territoriale, e' quella di accrescere la competitivita' di tali aree, mediante una valorizzazione multisettoriale delle condizioni socio-economiche di base, compatibile con la salvaguardia e la tutela del territorio. In tali aree, l'agricoltura riveste un ruolo importante, non tanto per il suo peso in fatto di valore aggiunto e di reddito procapite e di occupazione - valori questi, per altro, inadatti a descrivere e interpretare processi di sviluppo nella forma di sistemi produttivi locali - bensi' in quanto i fattori generatori di economie esterne alle imprese agricole sono costituiti dall'attenzione dei consumatori verso caratteristiche di qualita', origine e tipicita' dei prodotti agricoli, in genere prodotti food (cibi e bevande), ma non solo (un esempio significativo e' offerto dai prodotti floricoli). Fattori generatori che premiano:
a) la possibilita' delle imprese agricole ed agrituristiche di arrivare direttamente sul mercato con i propri prodotti e servizi;
b) la valorizzazione dei cosiddetti prodotti della ruralita' (prodotti e servizi ma anche cultura, folclore, saperi, ecc.);
c) il rafforzarsi delle relazioni collaborative tra le imprese dei diversi settori;
d) l'introduzione nell'organizzazione produttiva di processi innovativi, compresi quelli di comunicazione sul mercato;
e) la capacita' delle imprese agricole, in un'ottica di multifunzionalita' dell'agricoltura, di operare per la tutela delle componenti ambientali e di godimento delle risorse natural;
f) la diffusione di forme di turismo rurale sostenibile.
Tali sistemi locali possono essere assunti quali distretti rurali secondo la definizione di cui al decreto legislativo n. 228/01. Non v'e' dubbio che, a seconda delle caratteristiche tipologiche delle produzioni e della qualita' delle componenti storico-culturali, un distretto rurale puo' avere una prevalente vocazione agricolo-alimentare, una vocazione agrituristica od una vocazione agronaturalistica. Casi di distretti rurali in Itali sono rappresentati dalla produzione di "barbatelle" per la viticoltura in Friuli, ma anche nelle zone tipiche della floricoltura e del vivaismo (S. Remo, Pescia, Torre del Greco). In Piemonte e' assimilabile a distretto rurale la produzione (economia) floricola del Lago Maggiore;
- il secondo modello e' quello legato ai processi di concentrazione e specializzazione del segmento agricolo ed agroalimentare, che possono consentire la individuazione di distretti agroalimentari di qualita', secondo la definizione del decreto legislativo n. 228/01. Sui distretti agroalimentari di qualita' si veda quanto riportato al paragrafo successivo.

3. Lo sviluppo dei distretti agro-alimentari si colloca nel complesso e rapido processo di sviluppo economico che ha interessato l'Italia nel secondo dopoguerra. Specialmente nel corso degli anni settanta e' divenuta sempre piu' evidente la presenza di realta' territoriali caratterizzate da una "industrializzazione diffusa", basata principalmente su piccole e medie imprese, concentrate a livello territoriale e strettamente collegate fra di loro. Queste diverse realta', presenti soprattutto nell'Italia Centrale e Nord-Ovest, sono state analizzate e studiate in modo nuovo ricorrendo a strumenti analitici, quali i "distretti industriali", proposti oltre cento anni fa dall'economista inglese A. Marshall, ma valorizzati di nuovo in Italia solo a partire dalla fine degli anni settanta da G. Becattini e successivamente da molti altri. Esemplificando:
- il distretto industriale e' stato considerato un possibile modo alternativo al modello della grande impresa di organizzare la produzione in certi settori manifatturieri senza rinunziare ai vantaggi della divisione del lavoro;
- e' la natura dell'organizzazione a rete delle imprese a costituire un fattore di competitivita' del distretto oltre ai tradizionali fattori di costo;
- non si ha distretto senza una rilevante integrazione tra fenomeni della produzione e fenomeni socio-culturali e senza uno specifico interesse delle istituzioni locali (enti locali e non solo) al suo consolidamento e sviluppo;
- gli studi hanno attribuito ai distretti industriali gran parte del vantaggio competitivo conquistato negli anni passati dall'Italia sui mercati mondiali (il riferimento va in particolare ai distretti delle regioni del Nord-Est e del Centro dell'Italia);
- nel distretto si attua un processo di produzione "collettivo" e cio' rapporta l'ipotesi che, partendo da tali premesse, si adotti una programmazione collettiva delle risorse, che accentui "le ragioni" della collaborazione tra le imprese del distretto;
- spesso le imprese distrettuali sono abili a competere sui costi di produzione e sulle tecnologie, mentre difficolta' appaiono quando il focus della competizione si sposta sugli aspetti della commercializzazione e della percezione dei segnali di mercato e cio' puo' essere un'ulteriore giustificazione di un intervento pubblico a sostegno dell'evoluzione dei distretti;
- II distretto industriale e' definibile, quindi, come "sistemi industriali integrati" che producono economie esterne all'impresa e magari al settore, ma interne all'ispessimento localizzato delle relazioni intra e inter-settoriali e sociali", e che presenta caratteristiche di ragionevole stabilita' nel tempo.
Alcune caratteristiche dei distretti industriali si prestano ad essere considerate anche in riferimento ai distretti agroalimentari, pur dovendosi sottolineare l'esistenza di elementi di discontinuita' tra distretti industriali e distretti agroalimentari di qualita'.
La nozione di distretto agroalimentare di qualita' - ma lo stesso dicasi per i distretti rurali - richiede di sottolinearne le specificita' o, se si vuole, i requisiti a fini di riconoscimento e di delimitazione. In particolare per i distretti agroalimentari di qualita' va evidenziata la stretta e continuativa connessione tra le fasi del processo di valorizzazione del prodotto (filiera) e cioe' tra imprese della produzione agricola e della trasformazione. Tali imprese vedono in tale rapporto e nel prodotto trattato la ragione della propria esistenza e cosi' facendo creano il cosiddetto mercato comunitario. La connessione diventa piu' forte quando il prodotto trattato e' specifico di una zona (rispondente alla c.d. vocazione del territorio) ovvero oggetto di denominazione di tutela. Il legame tra imprese della produzione ed imprese della trasformazione e' tanto piu' forte quanto piu' esso non riguarda solo la cessione del prodotto, ma si allarga ad altre necessita' comuni (ricerche, promozione, ecc.).
Le analisi empiriche, sempre piu' numerose, condotte nel corso degli ultimi anni hanno permesso di comprendere a fondo le origini, i meccanismi di funzionamento e le dinamiche di sviluppo di distretti agroalimentari. Il forte radicamento territoriale delle imprese, le strette relazioni fra imprese e famiglie, la concentrazione e specializzazione territoriale della produzione, la flessibilita' nel cambiamento dei prodotti e dei processi produttivi, ma anche la fitta rete di relazioni sociali, economiche ed istituzionali sono tutti elementi che caratterizzano queste realta' locali.
La concentrazione di queste specifiche realta' produttive in aree di dimensione limitata ha fatto parlare di "specializzazione flessibile", basata spesso sulla produzione di una vasta gamma di prodotti caratterizzati da elevati livelli di qualita' e tipicita'. Le origini e le caratteristiche dei distretti agro-alimentari non possono essere ricondotte ad un fattore specifico. In molti casi esse derivano dai profondi processi di specializzazione delle produzioni agricole. Non meno rilevante e' risultata la presenza di tradizioni artigianali nella trasformazione dei prodotti agricoli, mentre un ruolo spesso decisivo e' stato giocato dalla presenza di una forte domanda locale di prodotti tipici, che ha creato le condizioni per un ulteriore sviluppo del mercato di questi prodotti. L'origine e l'evoluzione dei distretti agro-alimentari ha determinato uno stretto collegamento fra le imprese di trasformazione alimentare e la produzione agricola locale; talora detto legame puo' affievolirsi, specie per certe produzioni meno differenziate, ma e' anche vero che proprio le nuove esigenze espresse dalla domanda finale e' tale da incentivare i rapporti fra produzione agricola e trasformazione industriale a livello locale (Cfr. Fanfani 2002). La dimensione territoriale e strutturale dei distretti agro-alimentari si presenta molto spesso diversa nelle numerose realta' presenti nel nostro Paese. Tra i distretti agroalimentari del nostro Paese si possono ricordare quelli del Parmigiano Reggiano, della produzione, lavorazione e trasformazione delle carni suine, delle produzioni avicole (concentrati per quasi il 60% nelle province di Verona e Forli'), di frutta "rossa" (ciliege e susine) presso Vignola, della produzione e trasformazione del pomodoro (province di Piacenza, Parma, Salerno).

4. Alcune motivazioni, oltre a quelle gia' indicate, possono essere evocate per avviare, con le necessarie prudenza e consapevolezza, la formazione di distretti agroalimentari di qualita' e rurali anche nella nostra Regione, mediante l'attivazione di politiche dedicate:
- le ricordate maggiori attenzioni dei consumatori alla qualita' dei prodotti alimentari e soprattutto alle caratteristiche igienico-sanitarie stanno spingendo per una rivalutazione dei rapporti fra l'industria di trasformazione e la produzione agricola locale. Infatti, cio' richiede un maggior controllo e garanzia su tutte le fasi di produzione e trasformazione, come e' stato messo in evidenza dalla recente crisi della "mucca pazza", o dai frequenti casi di salmonellosi. La tracciabilita' delle produzioni puo' essere piu' facilmente adottata ed incentivata all'interno dei sistemi locali;
- fattori di crisi e di difficolta' dei distretti possono essere dovuti alla rottura dei meccanismi di regolazione delle relazioni socio economiche locali, il che puo' rendere plausibile la definizione di politiche innovative specifiche in grado di sollecitare le imprese della produzione e imprese della trasformazione a rivedere in chiave piu' moderna i loro rapporti, non limitandoli alla sola cessione dei prodotti;
- alcune delle difficolta' nelle piccole e medie imprese agroalimentari derivate dalla globalizzazione dei mercati possono essere in parte rimosse con azioni collettive di promozione dei prodotti e di ricerca di partnership tecnologiche e commerciali;
- mediante politiche mirate puo' essere incentivata la creazione o lo sviluppo di economie interne al distretto ma esterne alle imprese distrettuali, migliorando cosi' di fatto le capacita' produttive in specie delle unita' di dimensioni piu' piccole (si pensi a centri locali in grado di realizzare ricerca, sviluppo e diffusione di innovazioni tecnologiche ed organizzative nelle imprese, fattore decisivo per il successo dei distretti);
- la flessibilita' nelle produzioni distrettuali e' tale da ipotizzare il sostegno pubblico alla differenziazione e alla diversificazione dei prodotti, per soddisfare le esigenze sempre piu' diversificate e complesse della domanda alimentare;
- tra le politiche distrettuali merita di essere sostenuta in particolare la formazione delle risorse umane in specie nel caso del riorientamento delle tecniche di produzione, delle riorganizzazioni aziendali e per la ricerca di nuovi sbocchi di mercato, elementi questi determinanti nello sviluppo dei distretti poiche' e' da essi che dipendono i livelli di produttivita' e la qualita' della produzione.

5. Una notazione particolare riguarda il ruolo nelle politiche distrettuali degli Enti locali (Provincie, Comunita' Montane e Comuni) e di altre Istituzioni locali ( CCIAA , Banche Fondazioni Bancarie, Consorzi ecc.). Non si tratta tanto di evocare per le istituzioni locali un generico compito di promozione dello sviluppo. La loro azione, gia' determinante nel caso di programmazione e di realizzazione di piani e progetti che riguardano anche la realta' socio-economica e ambientale dei distretti (pianificazione territoriale, trasporti, ecc.), diventa decisiva per l'evoluzione dei distretti nel caso di creazione di servizi di carattere generale, ma anche e soprattutto rispetto alla creazione o consolidamento di infrastrutture e servizi reali per le imprese.
Il Piano di Sviluppo Rurale, con l'articolazione territoriale di molte sue misure, il programma LEADER plus (per il quale negli scorsi mesi e' terminata la elaborazione dei Piani di Sviluppo Locale), il DocUP 2 (in specie con i progetti integrati di area), le positive esperienze condotte in Piemonte nella programmazione negoziata (patti territoriali generalisti e tematici, ecc.), la programmazione e progettazione delle Comunita' Montane sono tutti elementi che dimostrano:
- come gli interventi a carattere territoriale abbiano acquisito valenza complessiva di politica economica;
- che l'istituzione di distretti rurali ed agroalimentari di qualita' possa realizzarsi sulla base di esperienze positive di programmazione integrata e con approccio buttom up;
- come le politiche dedicate per il sostegno dei distretti rurali e dei distretti agro-alimentari di qualita' possano aprire nuovi scenari per le aziende e per lo sviluppo dell'imprenditorialita' in agricoltura, tanto piu' se saranno individuati, come e' possibile, momenti di raccordo e complementarieta' con le citate altre politiche che hanno influenza sullo sviluppo rurale.

6. La politica distrettuale in Piemonte non costituisce una novita'. Al riguardo si puo' ricordare in sintesi quanto segue:
- sono molti gli studi compiuti nella nostra Regione che evidenziano l'esistenza anche in Piemonte di sistemi locali specializzati definibili distretti rurali e distretti agroalimentari di qualita' (si pensi agli studi condotti sulla produzione dei Fiori del Lago Maggiore, del riso, della frutta del saluzzese, orticola del carmagnolese (To) e del castelnuovese (Al);
- numerosi sono i disegni di legge e le proposte di legge, di carattere generale o specifici, presentati nella scorsa legislatura ed in quella presente in materia di distretti agricoli ed agroalimentari (p. es. DDL per la "Formazione dei distretti agroindustriali del Piemonte", PDL vari per l'istituzione del Distretto riso, del Distretto floricolo del Lago Maggiore, ecc.);
- e' in attuazione la legge regionale n. 20/99 "Istituzione dei distretti dei vino del Piemonte"; tale legge, com' e' noto, ha come obiettivo la promozione del vino e piu' in generale dei territori viticoli e non riguarda in modo specifico il consolidamento e lo sviluppo di rapporti e strumenti di integrazione tra le imprese del distretto e tra queste e l'ambiente;
- da tempo, infine, opera in Piemonte la legge regionale n. 24/1997 "Interventi per lo sviluppo dei sistemi di imprese nei distretti industriali del Piemonte", con la quale sono stati costituiti, tra l'altro, i distretti alimentari di Moretta e di Canelli-Santo Stefano Belbo. La legge in esame richiedera' un raccordo operativo con la l.r. n. 24/1997.

7. In relazione a quanto affermato in precedenza, con la presente legge la Regione Piemonte intende affiancare, agli attuali strumenti di politica agraria rappresentati da provvedimenti di incentivazione settoriali (L.R. n. 63/78, L.R. n. 95/95, ecc.) e dal Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006, una politica di carattere territoriale ed intersettoriale, realizzata in sistemi produttivi locali, individuati quali distretti rurali e dai distretti agroalimentari di qualita', e finalizzata a rafforzare la competitivita' del distretto mediante l'attuazione di progetti di interventi innovativi e capaci di migliorare:
- i processi di riorganizzazione interna al distretto,
- il coordinamento e l'integrazione delle relazioni tra le imprese,
- la qualita' territoriale ambientale e paesaggistica dello spazio rurale.
In definitiva, la politica dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualita':
- poggia sull'ipotesi dell'espressione di una forte volonta' degli attori locali (pubblici e privati) di operare in direzione dell'approfondimento delle gia' esistenti forme di collaborazione;
- si inserisce nel contesto della politica agraria ed rurale regionale, non prevedendosi dunque la creazione di canali paralleli di finanziamento;
- circoscrive l'ambito di intervento a progetti innovativi;
- persegue la gestione piu' efficace di tutte le altre politiche comunitarie e regionali che interessano le aree distrettuali.

8. Di seguito si descrivono sinteticamente i diversi articoli della legge.

L'articolo 1 (Finalita') precisa, al comma 1, che con la legge la Regione promuove il consolidamento e lo sviluppo di sistemi locali individuati quali i distretti rurali e distretti agroalimentari di qualita' ai sensi del decreto legislativo n. 228/2001. Con i termini "consolidamento e sviluppo" si intende che i distretti non si creano per legge, limitandosi la Regione a individuare sulla base di specifici requisiti (artt. 3 e 4) realta' territoriali esistenti, favorendo l'attuazione di una strategia di sviluppo concordata con gli altri soggetti pubblici operanti sul territorio.
L'articolo 2 contiene le definizioni di distretti rurali e distretti agroalimentari di qualita', mutuate, come detto piu' volte dal decreto legislativo n. 228/2001, nonche' quelle di altre nozioni importanti ricorrenti nella normativa.
Gli articoli 3 e 4 disciplinano le modalita' di individuazione distretti rurali e distretti agroalimentari di qualita' sulla base di requisiti che discendono dalle definizioni di distretti rurali e distretti agroalimentari di qualita' e che sono riconducibili a parametri di carattere oggettivo e soggettivo.
Con l'articolo 5 viene individuato nella Regione l'Ente che individuera', sulla base dei requisiti di cui agli articoli precedenti, i distretti; alla Provincia e' assegnato un ruolo di proposta. L'articolo 6, comma 1 assegna alla Provincia competente per territorio o alle Province, d'intesa tra loro, qualora il distretto comprenda territori di diverse Province, il compito di elaborare il piano di distretto. Con il comma 2 di detto articolo e' chiesto alla Provincia di assicurare la partecipazione delle istituzioni locali e delle rappresentanze economiche e sociali del territorio distrettuale, attraverso forme permanenti di dialogo istituzionale e di concertazione.
L'articolo 7 norma i contenuti e le procedure di formazione, approvazione ed attuazione del Piano di Distretto. In via esemplificativa e' possibile ipotizzare che la maggior parte dei progetti di innovazione avranno carattere immateriale e che faranno riferimento alla categoria dei c.d. fattori no price competition ( ricerche di mercato, marchi di qualita', promozione, ecc.).
Il piano di distretto e' attuato mediante strumenti di programmazione negoziata (articolo 8) che dovranno individuare i progetti innovativi da attuarsi indicando le Amministrazioni e gli Enti competenti per l'attuazione.
Per quanto riguarda i progetti di innovazione, nella legge in esame vengono istituiti alcuni aiuti, particolarmente adatti a politiche distrettuali. Trattasi di aiuti riguardanti la certificazione di sistemi di rintracciabilita' di filiera (articolo 9), di aiuti finalizzati all'introduzione di strumenti per la gestione operativa della rintracciabilita' (articolo 10) e di aiuti per la realizzazione di progetti di conservazione di fabbricati rurali, manufatti e loro pertinenze (articolo 11).
L'articolo 12 (Monitoraggio) indica soggetti, tempi e modalita' di informazione circa le attivita' svolte nei distretti.
L'articolo 13 prevede che la Regione si avvalga dell'Istituto di Ricerche Economiche e Sociali del Piemonte ( I.R.E.S. ). In tale ambito, e' previsto inoltre un supporto tecnico alle Province dello stesso IRES per la fase di proposta di individuazione del distretto e di elaborazione dei piani di distretto. L'articolo 14 detta le disposizioni finanziarie.
Infine, l'articolo 15 riguarda le disposizioni finali, specificando al comma 1 che la Giunta regionale si riserva di approvare disposizioni operative di attuazione della presente legge e al comma 2 che l'erogazione degli aiuti previsti agli artt. 9, 10 e 11 saranno subordinati al parere favorevole da parte della Commissione Europea.

E' il caso di sottolineare, inoltre, come la legge in oggetto costituisca lo strumento per dare attuazione al Distretto floricolo del lago Maggiore, istituito di recente con Delibera della Giunta regionale n. 37-5721 del 3 aprile 2002 "Decreto legislativo 18.5.2001, n. 228 "Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della legge 5.3.2001, n. 57, articolo 13, comma 3 - Individuazione del Distretto floricolo del Lago Maggiore".

In conclusione si comunica che il presente ddl e' stato verificato in seno al Comitato di cui all'art. 8 della l.r. 17/99 in data 17 maggio 2002.

Relazione Tecnica ai sensi dell'art. 26 della l.r.7/2001

1. Individuazione dell'oggetto e delle finalita' del d.d.l.

La Regione si pone l'obiettivo, con la legge in questione, di sostenere il consolidamento e lo sviluppo di sistemi produttivi locali, individuati quali distretti rurali e quali distretti agroalimentari di qualita', ai sensi dell'articolo 13, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 18 maggio 2001, n. 228 "Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo, 2001, n. 57".
La Regione individuera' i distretti, sulla base di requisiti definiti nella legge e ne disegnera' i confini: Alle Province e' assegnato il compito di elaborare il piano di distretto e i relativi piani stralcio annuali. La Regione promuovera' sul territorio individuato strumenti di programmazione negoziata.
Il distretto consente di perseguire un coordinamento degli strumenti di politica agraria e rurale, attuati dalla Regione, coinvolgendo nel contempo le altre istituzioni operanti nel territorio del distretto, che possono prevedere azioni di loro competenza, coerenti al disegno programmatico distrettuale.

2. Analisi degli obiettivi dell'intervento

a) quali esigenze della collettivita' si intendono soddisfare
La Regione si pone l'obiettivo di intervenire nei territori dei distretti mediante politiche finalizzate a:
- favorire i processi di riorganizzazione interna del distretto, rafforzando il coordinamento e l'integrazione delle relazioni tra le imprese;
- adeguare le strutture produttive esistenti e le infrastrutture di servizio alle necessita' economiche, ambientali e territoriali;
- migliorare la qualita' di conformita' dei processi e delle aziende;
- garantire la sicurezza degli alimenti;
- sostenere la proiezione sui mercati nazionali ed internazionali delle imprese;
- valorizzare le produzioni agricole ed agroalimentari;
- migliorare la qualita' territoriale, ambientale e paesaggistica dello spazio rurale;
- contribuire al mantenimento ed alla crescita dell'occupazione.

b) quali sono i destinatari, diretti ed indiretti, della proposta normativa
Gli imprenditori agricoli ed agroaindustriali, nonche' altri soggetti privati e publici.

c) in quale modo il d.d.l. intende perseguire gli obiettivi
Attraverso la individuazione dei distretti agroalimentari di qualita' e rurali, la definizione di piani di distretto e il coinvolgimento delle varie forze istituzionali, economiche e sociali, attraverso strumenti di programmazione negoziata, nonche' dal punto di vista applicativo con la emanazione di bandi per la presentazione di domande di finanziamento da parte dei beneficiari.

2.1. Esame del contesto socio-economico

a) verificare la razionalita' degli obiettivi sotto il profilo economico
Gli obiettivi del d.d.l. sono razionali sotto il profilo economico perche' rispondono alla necessita' delle imprese insediate nei distretti di procedere nel loro sentiero di sviluppo in un'ottica di integrazione delle attivita' o di utilizzazione in comune di centri di servizio.

b) indicare se il perseguimento degli obiettivi previsti puo' produrre effetti collaterali.
Il perseguimento degli obiettivi previsti puo' produrre, oltre ad effetti diretti sulle imprese, gli effetti collaterali di conferire maggiore competitivita' al distretto considerato nel suo complesso e maggiore attrattivita' al binomio "prodotti-territorio".

c) valutare, attraverso la predisposizione del d.d.l., la necessita' di fornire un quadro normativo certo al fine di disciplinare nuove realta' socio-economiche
La realta' socio-economica rappresentata dai distretti rurali ed agroindustriali richiedeva di essere riconosciuta e disciplinata mediante la definizione di un quadro normativo innovativo dal punto di vista procedurale in grado di consentire la effettuazione di interventi (c.d. progetti di innovazione), di condiviso interesse locale (distrettuale) ed ad elevata contestualita' temporale. Il d.d.l. individua inoltre nuovi regimi aiuto per interventi non previsti nella normativa vigente.

d) rilevare la ricaduta degli effetti economici della proposta normativa, evidenziando gli aspetti in ambito economico sui quali la proposta di normativa puo' incidere.
La proposta di normativa puo' produrre effetti economici sui costi di produzione e di transazione delle imprese, sul valore commerciale dei prodotti, sui mercati di sbocco dei prodotti, sulla diversificazione dell'attivita' produttiva delle aziende agricole (servizi ricreativi ed ambientali).

e) verificare l'adeguatezza degli effetti economici prefigurati in relazione agli obiettivi.
Il tipo e la quantita' degli investimenti immateriali o materiali sono tali da consentire il raggiungimento degli obiettivi previsti.

f) analizzare la coerenza e la compatibilita' finanziaria degli obiettivi con la destinazione delle risorse
Vi e' coerenza e compatibilita' finanziaria tra gli obiettivi previsti e le risorse finanziarie all'uopo destinate.

3. Analisi degli aspetti contabili e finanziari

a) determinazione della totalita' dei costi connessi all'attuazione della proposta normativa
I costi previsti nel d.d.l. ammontano a euro 2.400.000,00 nel triennio 2002-2004.

b) individuazione di metodi per la quantificazione dei costi complessivi
I costi complessivi saranno quantificati dagli enti responsabili della gestione dei diversi interventi previsti dal piano di distretto sulla base di uno strumento di programmazione negoziata.

c) definizione delle risorse con cui far fronte

Alla copertura delle spese si provvede con quota parte delle assegnazioni rivenienti dall'articolo 3 della legge 449/1999.

- rilevazione degli effetti finanziari prodotti dall'atto sui successivi esercizi

- indicazione delle previsioni afferenti al bilancio pluriennale
Il d.d.l. prevede uno stanziamento di euro 800.000,00 per l'anno 2003 e di euro 800.000,00 per l'anno 2004.